DALLA LETTERATURA*

TRAPIANTO DI FEGATO DA DONATORI CON EMOCULTURE POSITIVE, OPPORTUNITÀ O AUMENTO DEL RISCHIO?
Il crescente divario tra il numero di pazienti in attesa di trapianto e gli organi disponibili continua a costituire la limitazione più grande all’espansione dei trapianti.
Nel trapianto di fegato l’obiettivo principale è stato quello di sviluppare strategie per aumentare il numero di organi disponibili attraverso l’utilizzo di segmenti di fegato da donatori viventi, di split da donatore cadavere da trapiantare in due riceventi e dal ricorso a donatori post morte circolatoria (DCD).
Inoltre, diversi gruppi continuano a esplorare modi per migliorare i risultati nell’utilizzo di organi da donatori con “criteri estesi”, inclusi i donatori con infezioni o malattie (Fishman JA, et al. Donor-derived infection – the challenge for transplant safety. Nat Rev Nephrol 2014).
In particolare, il trapianto di fegato utilizzando donatori con emoculture positive (BCPD) ha consentito una significativa espansione del pool di donatori. Sebbene gli organi provenienti da donatori con infezioni batteriche possano essere trapiantati senza complicazioni (previa applicazione di appropriati agenti anti-infettivi al donatore prima del prelievo dell’organo e al ricevente nel post-trapianto), sono state riportate trasmissioni di malattie (Green M, et al. Donor-derived transmission events in 2013: a report of the organ procurement transplant network Ad Hoc disease transmission advisory committee. Transplantation 2015).
Tra questi, i batteri gram-negativi resistenti al carbapenemico sono particolarmente preoccupanti per la difficoltà di trattamento che comporta una significativa morbilità e mortalità, soprattutto tra i trapiantati di organi solidi (Mularoni A, et al. Outcome of transplantation using organs from donors infected or colonized with carbapenem-resistant gram-negative bacteria. Am J Transplant 2015).
Tuttavia, la disponibilità attuale di nuovi farmaci con attività contro alcuni di questi patogeni potrebbe essere utile in futuro nel controllo delle infezioni trasmesse dal trapianto, consentendo un’ulteriore estensione all’uso di donatori batteriemici (van Duin D, et al. Ceftazidime/avibactam and ceftolozane/tazobactam: second-generation [beta]-lactam/[beta]-lactamase inhibitor combinations. Clin Infect Dis 2016).
Nonostante un potenziale rischio di trasmissione di malattie, gli outcome dei trapianti con organi provenienti da donatori batteriemici non è risultato associato alla riduzione di sopravvivenza dell’organo e del paziente.
A tal proposito, un recente articolo che analizza i dati UNOS, dimostrerebbe, invece, che il trapianto di fegato da donatore con BCPD è indipendentemente associato a una ridotta sopravvivenza del trapianto (Huaman MA, et al. Decreased graft survival in liver transplant recipients of donors with positive blood cultures: a review of the United Network for Organ Sharing dataset. Transpl Int 2016).
Purtroppo, il database UNOS non raccoglie alcune delle informazioni importanti, tra le quali: il tipo di organismo specifico isolato nelle emoculture, il tempo trascorso dalla cultura del sangue del donatore positivo alla data del trapianto, gli agenti antimicrobici utilizzati nei donatori e nei riceventi, la gravità dell’infezione e la trasmissione dal donatore al ricevente.
Si rischia quindi di generalizzare i risultati. Ad esempio, nello studio in questione non viene affrontata la problematica della riduzione di sopravvivenza del trapianto con organi provenienti da donatori batteriemici, quindi la ragione rimane sconosciuta.
Secondo Paolo Grossi, si può ipotizzare che ciò sia dovuto alla tossicità epatica dei farmaci antimicrobici usati nel donatore e nei riceventi, ai cambiamenti ormonali e metabolici che si verificano nella morte cerebrale o ad altri meccanismi non noti.
Gli infettivologi del Division of Infectious Diseases Department of Medicine dell’Università del Kentucky (USA) concludono che, poiché il trapianto di fegato è spesso un’operazione salvavita e c’è un grosso divario tra domanda e offerta, la sopravvivenza del trapianto BCPD senza un effetto significativo sulla sopravvivenza del paziente sarebbe considerata accettabile.
Anche se nello studio sono stati inclusi un gran numero di pazienti, Grossi raccomanda cautela nell’interpretazione di tali risultati per evitare di perdere organi salvavita buoni.
Indica, pertanto, l’urgenza di un grande progetto prospettico multicentrico, al fine di definire il rischio reale di ridurre la sopravvivenza del graft e del paziente con fegati da donatori con BCPD.
Bibliografia
Grossi PA. Liver transplantation from donors with positive blood cultures: increased risk of graft failure or opportunity to expand the donor pool? Transpl Int 2017; 30: 556-7.



CRITERI D’ALLOCAZIONE D’ORGANO, DIBATTITO QUANTO MAI APERTO
In tutto il mondo i programmi di trapianto affrontano la questione di come massimizzare il numero di organi disponibili per trapianto senza compromettere la sicurezza dei riceventi.
Il problema fondamentale è che non tutti i donatori e non tutti gli organi sono uguali: alcuni organi funzioneranno bene per lunghi periodi, altri meno, altri ancora sono a più alto rischio di trasmissione di malattie e altri sono necessari per la sopravvivenza dei pazienti in gravissime condizioni. Tutti però hanno il potenziale di migliorare la vita di chi aspetta in lista d’attesa anche se non ce ne sono a sufficienza.
Pertanto la sfida è quella di distribuire gli organi utilizzabili in modo che tutti siano utilmente trapiantati nei riceventi più appropriati, mantenendo standard etici e prevenendo eventuali eventi avversi.
Eppure, in questo numero di Transplantation, diversi articoli mostrano come le politiche in tal senso, anche se nate con le migliori intenzioni, possano avere conseguenze non intenzionali quando non prendano in considerazione “il fattore umano” nel processo decisionale.
A sostegno della tesi viene citato la carta semantica di Kahneman e Tversky (esperti nel campo dell’economia comportamentale) sulla teoria della prospettiva, nella quale gli autori evidenziano come, quando si devono prendere decisioni tra prospettive e rischi, le persone tendono a fare scelte che non sarebbero considerate razionali dalla teoria economica tradizionale (Kahneman D, Tversky A. Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk, Econometric, 1979).
In sostanza il concetto è che, di fronte a un ipotetico rischio, molte persone preferiscono un guadagno certo, anche se minore, rispetto a un guadagno maggiore ma privo di certezza; ossia, quando cerchiamo guadagni, siamo avversi al rischio.
Nel contesto del trapianto la teoria della prospettiva prevede che il rischio di un esito negativo condizioni in modo sproporzionato le decisioni di accettazione dell’organo. Infatti, i medici, e più spesso i pazienti, sono inclini ad attendere più a lungo un organo “buono” anziché accettare un organo descritto “ad aumentato rischio”.
Quindi le decisioni vengono prese in un’ottica di guadagni e perdite a breve termine rispetto allo stato corrente di salute di un paziente, piuttosto che in un’ottica di vantaggio complessivo “di vita” che si potrebbe ottenere da un determinato organo.
Bisogna chiarire che i concetti di organo “buono” e “marginale” sono stati applicati dall’introduzione nel 2002 degli Standard Criteria Donor (SCD) e degli Expanded Criteria Donor (ECD) per i reni da parte dell’OPTN.
In particolare, la classificazione ECD è stata introdotta per accelerare il trapianto in pazienti non in grado di tollerare una lunga attesa, promuovendo il recupero e l’utilizzo dei reni “a rischio”.
Tuttavia, sebbene i prelievi siano aumentati, il tasso di accettazione dei reni che soddisfano i criteri ECD è diminuito e i tassi di rifiuto sono rimasti alti (Hirth RA, et al. Efficient utilization of the expanded criteria donor (ECD) deceased donor kidney pool: an analysis of the effect of labeling. Am J Transplant 2010).
Tenuto conto di questo risultato e delle limitazioni di un sistema di classificazione binario, l’OPTN ha introdotto l’indice Kidney Donor Profile (KDPI) implementando un nuovo schema di assegnazione (KAS) in base al quale le offerte del rene sono fatte secondo 4 livelli di KDPI. Gli obiettivi principali del KAS erano quelli di migliorare l’utilità del pool di donatori esistente associando il KDPI alla sopravvivenza posticipata del ricevente e di accelerare il trapianto dei reni così detti “a rischio” (KDPI> 85%) ai riceventi che avrebbe beneficiato di essi.
Tuttavia, contrariamente ai risultati previsti, la valutazione dei primi 18 mesi del KAS mostra un aumento del tasso di rifiuto dal 18 al 20%.
Quindi, secondo alcuni autori, non solo l’introduzione del KDPI non ha corretto l’effetto dell’etichettatura SCD/ECD, ma forse l’ha peggiorato (Heilman R, et al. Potential impact of risk and loss aversion on the process of accepting kidneys for transplantation. Transplantation 2017).
Inoltre, la politica dell’OPTN richiede di ottenere il consenso informato da parte del paziente prima di accettare organi considerati a rischio, anche se la trasmissione di eventuali malattie con il trapianto è estremamente bassa e la sopravvivenza post-trapianto è equivalente agli organi standard.
Succede quindi che, anche se i pazienti comprendono pienamente il basso rischio di trasmissione delle malattie, possono comunque rifiutare un organo denominato a rischio esattamente come la teoria prospettica prevede, ossia, le persone continueranno a sovrastimare il basso rischio di eventi avversi gravi e a scegliere la certezza dell’incertezza, indipendentemente dall’accuratezza con cui comprendono i rischi (Volk ML, et al. The PHS Increased Risk label is associated with nonutilization of hundreds of organs per year. Transplantation 2017).
Questo perché la decisione finale di accettare un organo o meno è presa da un essere umano che è soggetto a tutti i pregiudizi previsti dall’economia comportamentale. Quindi, se i sistemi di trapianto vogliono raggiungere obiettivi utilitaristici, è necessario evitare politiche basate su termini come “rischi” e “perdite” e utilizzare invece il termine “opportunità”.
La strategia del Regno Unito fornisce un esempio di come questo potrebbe essere fatto. Nel 2012, l’NHSBT ha introdotto il sistema UK-Kidney Fast-Track (KFTS) per cui i reni che rientrano nei criteri prestabiliti che li identificano come a rischio di rifiuto, vengono offerti contemporaneamente a tutti i centri disposti a trapiantarli a quei pazienti che al momento dell’iscrizione in lista hanno dato il loro assenso.
Nessuna esplicita etichetta “ad alto rischio” viene applicata agli organi che entrano nel KFTS. In questo modo il sistema è riuscito ad allocare i reni a rischio di rifiuto da parte dei pazienti con risultati eccellenti portando il tasso di rifiuto all’11% nel 2015 (Mittal S, et al. A re-evaluation of discarded deceased donor kidneys in the UK: are usable organs still being discarded? Transplantation 2017).
Bibliografia
White SL. Nudging the organ discard problem. Transplantation 2017; 101: 1518-9.



INFEZIONI OPPORTUNISTICHE E NEOPLASIE NON AUMENTANO LA MORTALITÀ NEL TRAPIANTO DI RENE
Le infezioni virali e le patologie neoplastiche opportunistiche si sviluppano in un terzo dei destinatari del trapianto di rene, ma non influenzano la sopravvivenza del paziente e del trapianto.
Lo sostiene uno studio condotto dai ricercatori del Montefiore Medical Center di Bronx (NY), presentato al congresso dell’American Society of Transplantation and the American Society of Transplant Surgeons e pubblicato sulla rivista AJT.
In un’analisi retrospettiva monocentrica, Michelle L. e colleghi hanno studiato 673 pazienti trapiantati di rene. Durante un follow-up mediano di 3,8 anni, le infezioni o le patologie neoplastiche sono state sviluppate da 226 pazienti (34%). Di questi, il 19,8% presentava polyomavirus umano BK , l’1,9% aveva nefropatia da BK, il 9,6% cytomegalovirus di cui 2,1% con una infezione invasiva, il 2,2% ha avuto infezioni fungine e il 5,8% una malignità.
Tutti i pazienti hanno ricevuto reni da donatori con un punteggio medio di KDPI (60,3 ± 26,8 vs 63,3 ± 27,3) e con livelli simili di creatinina terminale (1,49 ± 1,22 mg / dl vs 1,56 ± 1,27 mg / dl),
I ricercatori non hanno riscontrato alcuna differenza nella sopravvivenza del paziente o del trapianto tra il gruppo che ha sperimentato le suddette complicanze rispetto ai pazienti che non le hanno sviluppate.
Una percentuale significativamente più elevata di pazienti con infezioni ha ricevuto reni da donatori anziani rispetto a quelli che non hanno avuto queste complicanze (81% vs 74%).
Così come il gruppo delle complicanze neoplastiche aveva ricevuto reni da donatori anziani e con tempi più lunghi d’ischemia fredda (1.354 vs 1.159 minuti) rispetto al gruppo senza complicanze.
I gruppi non mostravano differenze significative neanche negli episodi di rigetto acuto (14% vs 9%), nello sviluppo di malattie glomerulari ricorrenti o de novo (8,1% vs 6,1%) o nelle glomerulopatie trapiantate (7,6% vs 8,8%) e de novo DSA (17,3% vs 14,7%).
Le ultime misurazioni della creatinina sierica erano più elevate nel gruppo di infezione / malignità (1,6 ± 0,75 mg/dl vs 1,5 ± 1,1 mg/dl p <0,01), rispetto al gruppo senza complicanze.
Tuttavia, più pazienti con infezione/malignità erano di sesso maschile (64,7% vs 56,4% p = 0,04), ma tutto ciò non ha avuto influenza sulla sopravvivenza del paziente e del graft.
Bibliografia
Lubetzky M, Hayde N, Kamal L, et al. Prevalence and clinical outcomes in kidney transplant patients with viral and fungal opportunistic infections and malignancy. Am J Transplant 2017; 17: A207.



FEGATI OTTUAGENARI CHE DIVENTANO “CENTENARI” DOPO IL TRAPIANTO
È l’esperienza riportata dall’HPB Surgery and Abdominal Organ Transplantation Unit dell’Università Complutense di Madrid, in una lettera pubblicata su Transplantation.
Nel Centro universitario, dall’aprile 1986 all’ottobre 2016, sono stati eseguiti 1870 trapianti di fegato. In 58 casi sono stati utilizzati graft di donatori ottuagenari, 4 dei quali hanno raggiunto e superato una durata complessiva di cento anni dopo il trapianto.
Tre riceventi sono attualmente in vita, in buone condizioni generali e con una funzione epatica normale. Il quarto ricevente è deceduto 11 anni dopo il trapianto per insufficienza renale e complicanze cardiache, ma con un fegato istologicamente integro e perfettamente funzionante.
La longevità di un fegato sano e la sua capacità rigenerativa sono condizioni note da tempo. Ma si sa anche che il flusso sanguigno, le escrezioni e le alterazioni metaboliche di questo organo possono essere influenzate dall’invecchiamento con ripercussioni funzionali di rilevanza clinica (Mooney H, et al. Alterations in the liver with ageing. Clin Gastroenterol 1985).
È stato, ad esempio, documentato che dopo i 50 anni, il fegato diventa progressivamente più piccolo, passando dal 2,5% del peso complessivo del corpo nei giovani, a circa l’1,6% nella popolazione ultracinquantenne e i diversi cambiamenti morfologici che avvengono con l’invecchiamento indicano che le cellule epatiche in età avanzata sono in uno stato iperfunzionante, per compensare proprio la diminuzione del numero totale di cellule (James OF, et al. Gastrointestinal and liver function of old age. Clin Gastroenterol 1983).
In realtà, si è visto che l’invecchiamento ha un effetto limitato sulle funzioni epatiche e molto di più sulla sua risposta a fattori extraepatici verso cui gli anziani possono avere una capacità compromessa (Popper H. Coming of age. Hepatology 1985).
In questa comunicazione gli autori descrivono la loro esperienza di trapianto con donatori ottuagenari, indicando quali criteri siano stati valutati per la determinazione di trapiantabilità di questi graft.
Gli autori premettono che nel trapianto di fegato sono molti i fattori d’influenza imputabili al donatore e raccomandano l’utilizzo di graft epatici senza limiti di età ma in determinate condizioni. Ossia: stabilità emodinamica, bassi dosaggi di farmaci vasopressori, breve soggiorno in terapia intensiva, buoni parametri di funzionalità epatica, fegato morbido alla palpazione, tempo d’ischemia fredda inferiore a 9 ore, macrosteatosi inferiore al 30% e assenza di ateromatosi dell’arteria epatica.
Nei donatori anziani quest’ultima condizione di solito colpisce il tronco celiaco, ma quando si presenta distalmente a livello dell’arteria epatica destra o alla biforcazione dell’arteria gastroduodenale comune, l’innesto epatico deve essere scartato per il trapianto (Jiménez-Romero C, et al. Using old liver grafts for liver transplantation: where are the limits? World J Gastroenterol 2014).
Finora il gruppo di Madrid ha escluso da questi trapianti i riceventi con cirrosi da HCV o con malattie epatiche avanzate. Ma con introduzione di nuovi farmaci antivirali si potrebbero organi ottuagenari anche per questi riceventi.
Ci vorrà ancora del tempo per dimostrare i risultati del trapianto di questi organi ma gli autori si dicono convinti che l’attenta selezione dei graft possa dare buoni risultati anche in questi riceventi.
Bibliografia
Jiménez-Romero LC, Caso Maestro O, Cambra Molero F, et al. Octogenarian liver grafts reaching centennial age after transplantation. Transplantation 2017; 101: e218-e219.



Note

*la selezione è tratta da Trapianti in Rete (trapianti.net).
le news sono un riassunto fedele dell’articolo originale e non riflettono la posizione ufficiale del cnt.