Orientamenti e sviluppi della disciplina dei trapianti:
un anno ricco di prospettive e speranze

Il 2017 si è rivelato, per la disciplina dei trapianti, un anno ricco di spunti, di innovazioni tecnologiche, di sperimentazioni e di applicazioni cliniche potenzialmente in grado di cambiare gli orizzonti della trapiantologia nei prossimi anni, dimostrando, ancora una volta, la storica esuberanza e vitalità di questa branca della medicina e di tutte le professionalità che abbraccia.
Ai grandi risultati raggiunti in termini di sopravvivenza e di qualità di vita dei pazienti trapiantati e di numero dei trapianti (il 2017 ha registrato un aumento del 18,7%), fa da contraltare l‘insufficiente numero di donatori, per cui da un lato si lavora alacremente per aumentare la consapevolezza delle persone sull’importanza di essere donatori; dall’altro, si è alla continua ricerca di soluzioni alternative in grado di rispondere alla crescente domanda di trapianto generata dalle migliaia di pazienti in lista d’attesa.
Ciò che ha caratterizzato la ricerca in quest’ultimo anno va proprio in questa direzione e vede impegnati scienziati di tutto il mondo con progetti di lavoro, intuizioni tecnologiche e sperimentazioni avveniristiche che cercano di dare risposte all’enorme domanda di salute dei pazienti.
Le strade che si stanno percorrendo sono diverse e conducono allo stesso obiettivo, ossia, quello di aumentare le opportunità di trapianto.

Ampliare e migliorare l’utilizzo di organi
Un filone di ricerca, entrato già nella pratica clinica, è quello di ottimizzare le risorse disponibili ampliando e migliorando l’utilizzo degli organi, in cui, un'area di potenziale espansione del pool di donatori è rappresentata dalla donazione dopo la morte circolatoria (DCD). Anche se i trapianti da questi potenziali donatori sono ancora sproporzionatamente inferiori a quelli da soggetti in morte in cerebrale (DBD), gli ultimi studi condotti dimostrano risultati simili tra le due tipologie di donatori, inclusa un’eccellente sopravvivenza a lungo termine del trapianto nel suo complesso.
Né è una prova la perfusione polmonare ex vivo (EVLP) che ha dimostrato come spesso i polmoni di donatori DCD, che vengono classificati in modo inappropriato come inaccettabili, sono in realtà di ottima qualità1.
Il messaggio che trasmette lo studio in questione è che un approccio standardizzato anche ai donatori considerati non accettabili può portare a un'espansione del pool organi e determinare un aumento dei tassi di trapianto attraverso un maggior utilizzo degli organi di donatori DCD.
In questo l'EVLP riveste un ruolo fondamentale, per esempio nel facilitare un uso sicuro di presunti polmoni non idonei, in cui gli organi del donatore DCD non sono più da considerarsi marginali, a meno che non sia il donatore stesso inaccettabile.

Prevenire il rigetto e indurre la tolleranza
L’altro filone di ricerca è l’ottimizzazione degli organi disponibili attraverso la prevenzione del rigetto e l’induzione della tolleranza.
Hanno quindi guadagnato la scena i mitocondri definiti “onnipotenti”, il microbiota intestinale, il sistema immunitario innato; le cellule T regolatorie e le cellule B.
Sono stati infatti questi i temi più caldi trattati in occasione del Congresso annuale dell’American Society of Transplant Surgeons (ASTS) e dell’American Society of Transplantation (AST) e, secondo gli intervenuti, saranno sempre questi i temi che incideranno maggiormente sul futuro dei trapianti.
I mitocondri onnipotenti, ovvero le centrali energetiche della cellula che, secondo i ricercatori della Duke University di Durham (Carolina del Nord), influenzano l'attivazione delle cellule guidando l’infiammazione dei tessuti endoteliali vascolari che può portare all’alloraeattività delle cellule T e alla promozione del rigetto dell’organo trapiantato2.
Il rilascio mitocondriale servirebbe pertanto come un segnale di pericolo che anticipa la manifestazione clinica del rigetto. Se questa ipotesi si dovesse dimostrare vera, potrebbe rappresentare un legame tra l'immunità innata e quella adattativa nella fase iniziale della risposta alloimmune.
Un’altra ricerca della Harvard Medical School di Boston indica che il DNA mitocondriale aumenta nei processi infiammatori dell'invecchiamento. In particolare, l'invecchiamento aumenta il livello del DNA mitocondriale, il che a sua volta aumenta la probabilità che le cellule dendritiche possano essere attivate per orchestrare le risposte delle cellule T proinfiammatorie.
Queste risposte alle cellule T potrebbero quindi influenzare la sopravvivenza degli innesti più anziani e l'intero processo chiarirebbe l'associazione tra l'età dell'organo e l'aumentata suscettibilità a lesioni renali acute.
Nel 2017 si è molto parlato anche del microbiota intestinale come di un ecosistema in cui gli elementi costituenti devono coesistere in modo equilibrato e armonico, e che l’ecosistema può variare a seconda delle circostanze dell’individuo.
D’interesse per la comunità di trapianto è il fatto che il Bifidobacterium (uno dei principali generi di batteri che costituiscono la flora del colon) può modulare l'infiammazione e la fibrosi dell’allograft. Inoltre, i ricercatori dell'Università di Chicago (Illinois) hanno riferito che la colonizzazione cutanea di batteri commensali è sufficiente ad accelerare il rigetto dell'innesto cutaneo e suggerito che i cambiamenti nel microbiota locale di un organo colonizzato possono effettivamente influenzare il risultato dell'innesto. Il lavoro ha portato al targeting dei costituenti microbici in compartimenti anatomici specifici per aumentare la sopravvivenza del trapianto.
Il sistema immunitario innato è stato un altro argomento d’interesse, grazie anche ai recenti studi che si stanno conducendo. I ricercatori dell'Università di Pittsburgh hanno scoperto che le cellule del sistema immunitario innato sono in grado di esibire caratteristiche adattative e riconoscere gli antigeni. Hanno anche evidenziato che le cellule dendritiche possono interagire con il complesso maggiore di istocompatibilità degli innesti dei donatori e che sono quindi in grado di arrestare le cellule specifiche dell'antigene nell'innesto.
Inoltre, i ricercatori della Stanford University di Palo Alto (California) hanno identificato una firma di macrofagi M1 a tre generi che può identificare non solo le biopsie con rigetto acuto, ma anche le lesioni subcliniche. In particolare, il punteggio M1 è stato efficace nella diagnosi di rigetto acuto in 403 biopsie di quattro organi diversi e questo ha indotto i ricercatori a concludere che la firma M1 può essere utilizzata come marcatore prognostico del fallimento del trapianto.
Questa conclusione è stata rafforzata dal fatto che, in una coorte indipendente di trapianti renali, la firma M1 è stata in grado di stratificare i pazienti ad alto rischio d’insufficienza del graft a lungo termine già nei 15 giorni successivi alla biopsia. I trapiantologi dovrebbero quindi tenere in mente questi macrofagi infiammatori ed essere consapevoli che sono in corso ricerche per esplorare la loro associazione con il rigetto acuto.
Un certo numero di studi si è concentrato sulle cellule B e T regolatorie. I ricercatori del laboratorio Hancock presso l'Università della Pennsylvania hanno messo a punto una metodica per diminuire l'espressione co-repressor del fattore di trascrizione di silenziamento RE1 (CoREST), suggerendo che esiste un ruolo Treg-intrinseco nella stabilità e nella funzione Treg che mette in evidenza un nuovo potenziale terapeutico destinato alla promozione della tolleranza nell’allotrapianto.
Le novità hanno riguardato anche le cellule B regolatorie da cui è emerso che mentre le cellule B sono meglio conosciute per il loro ruolo nell'immunità umorale, esprimono anche citochine che possono influenzare i risultati del trapianto. Esistono cioè sottostrutture di cellule B distinte che possono essere differenziate per espressione di immunoglobuline T e dominio mucin (TIM) -1 e TIM-4. Il targeting delle cellule TIM-4 + B e/o dell'interleuchina 17 di cellule B potrebbe contribuire a ridurre il rigetto e sfruttare la potente attività delle cellule B regolatorie.
Infine dagli immunologi dell’Università di Pittsburgh, sono arrivate importanti spiegazioni sul ruolo del polimorfismo della proteina di regolazione del segnale del donatore α (SIRPα) sull’alloriconoscimento. Tali polimorfismi SIRPα modulerebbero il legame con CD47 e i risultati sarebbero coerenti con il fatto che la risposta di alloriconoscimento potrebbe essere interrotta dal trattamento del ricevente con una proteina CD29-Fc ricombinante3.
Insomma, il 2017 ha aperto una finestra sulle molteplici interazioni del sistema immunitario e dei complessi multimolecolari la cui comprensione potrebbe rivelare alcune opzioni farmacologiche per influenzare la tolleranza nei trapianti di organi e cellule.

Medicina rigenerativa e fonti di organi alternative
Ma, come anticipato all’inizio di questo editoriale, la ricerca guarda anche altrove. Mira cioè alla medicina rigenerativa e a trovare fonti di organi alternative, siano esse di origine animale o fabbricate in laboratorio.
Nel 2017 è stato per esempio eseguito il primo trapianto di staminali riprogrammate da donatore anonimo.
È avvenuto in Giappone, su un uomo di 60 anni con una malattia della retina (degenerazione maculare). Nel suo occhio sono state trapiantate cellule prelevate dalla pelle di un donatore anonimo, riprogrammate e poi fatte sviluppare in cellule della retina, costituendo la premessa per realizzare banche di cellule riprogrammate e a basso costo.
Il risultato, annunciato sul sito della rivista Nature e pubblicato sul New England Journal of Medicine, potrebbe essere il primo passo per una medicina rigenerativa alla portata di tutti4.
Sarà necessario verificarne l’esito, ma è interessante la prospettiva che apre: ovvero la possibilità di avere delle banche di cellule derivate da staminali pluripotenti indotte, ossia, capaci di seguire diverse direzioni nello sviluppo e pronte all’uso. Quindi non è più una prospettiva di lavoro, ma si è in vista di una realtà clinica.
Un altro esempio della versatilità delle staminali nella medicina rigenerativa è rappresentato dalla ricostituzione della mucosa dell'orecchio medio con il trapianto di cellule nasali.
I ricercatori del Dipartimento di Otorinolaringoiatria Jikei University School of Medicine di Tokyo, in un articolo pubblicato su NPJ Regenerative Medicine, riferiscono di aver sviluppato un metodo di trattamento per l’otite media adesiva e il colesteatoma, combinando l’intervento tradizionale di timpanoplastica con il trapianto di strati di cellule epiteliali autologhe della mucosa nasale per favorire la rigenerazione postoperatoria della mucosa dell'orecchio medio5.
La procedura è stata eseguita su quattro pazienti con colesteatoma dell'orecchio medio e su un paziente con otite media adesiva. Tutti i pazienti hanno mostrato un decorso post-operatorio favorevole, senza eventi avversi o complicazioni e con una buona capacità uditiva post-trapianto.
Si tratterebbe della prima applicazione clinica riferita al trapianto di cellule in coltura nell'orecchio umano che, con l'incorporazione del trapianto di strati di cellule nasali nella procedura chirurgica convenzionale, non solo ha la capacità di ridurre l'invasività complessiva dei trattamenti chirurgici necessari, ma ha il grande vantaggio dell’immediata rigenerazione post-operatoria della mucosa dell’orecchio medio con significativi miglioramenti nella prognosi dei pazienti sottoposti a chirurgia per tali patologie.
Ma si è allungato anche l’elenco di tessuti e organi del corpo umano creati in laboratorio.
Sulla rivista scientifica Nature Research un’equipe internazionale di ricercatori descrive gli esiti di una ricerca che, grazie alle cellule staminali, ha permesso di ottenere un tessuto di fegato umano bioingegnerizzato, che imita lo sviluppo naturale dell’organo6.
Il mini-fegato in provetta è, di fatto, un organoide anche se necessita ancora di ulteriori studi prima di poter essere testato in trial clinici.
I ricercatori sono partiti dal fatto che la differenziazione bidimensionale convenzionale da cellule pluripotenti non è riuscita finora a sintetizzare le complesse interazioni di cellule che si verificano durante l'organogenesi. Ovvero, gli organoidi tridimensionali generano tessuti complessi simili all'organo madre ma, finora, non è stato chiaro come le interazioni eterotipiche influenzino l'identità della linea.
In questo caso i ricercatori hanno utilizzato il sequenziamento RNA a singola cellula per ricostruire e monitorare l’attività genetica di ogni cellula nella loro progressione dallo stato di pluripotenza cellulare in un microambiente tridimensionale, allo stato finale di epatociti.
Dopodiché, sono riusciti a derivare organoidi tridimensionali da gemme del fegato ricostituendo le interazioni epatiche, endoteliali e stromali durante lo sviluppo del fegato trovando una corrispondenza straordinaria tra il fegato tridimensionale e le cellule epatiche fetali.
Da questo loro approccio e dall’osservazione evolutiva del mini-fegato creato, è emersa una complessa comunicazione molecolare tra cellule epatiche, vascolari e del tessuto connettivo, che è risultata fondamentale per la maturazione e lo sviluppo del fegato.
Una comunicazione che, secondo i ricercatori, mima alla perfezione quella naturale e chiarisce gli aspetti precedentemente inaccessibili dello sviluppo epatico umano, dunque, un passo avanti verso terapie innovative che potrebbero salvare sempre più vite
Ma l’altra speranza dei trapianti è rappresentata dall’ibrido uomo-maiale.
Per la prima volta nella storia della medicina, gli scienziati del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla in California sono riusciti a unire embrioni da due specie lontanamente correlate.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Cell, è considerato una nuova pietra miliare della scienza medica e dei trapianti d’organo7.
Si tratta di cellule staminali umane iniettate all'interno di embrioni di maiale allo stato iniziale di sviluppo che hanno permesso di ottenere oltre 2000 ibridi trasferiti successivamente nelle scrofe che hanno agito da “madri surrogate”.
Oltre 150 di questi embrioni sono poi diventati delle chimere quasi interamente suine (la parte umana era pari a circa 1 cellula ogni 10.000) e fatti sviluppare fino a un’età di 28 giorni, ovvero il primo trimestre di una gravidanza suina, prima di essere rimossi.
Per ora la metodica può aiutare a una migliore comprensione dell’embriologia umana, a testare la sicurezza e l’efficacia di nuovi farmaci e a offrire nuove intuizioni sull’insorgenza e la progressione delle malattie umane in un ambiente in vivo.
Ma in prospettiva si può intravedere la possibilità di fornire tessuti xeno-generati per affrontare la carenza di organi per trapianti a livello mondiale, perché le capacità delle cellule staminali pluripotenti umane di integrarsi e differenziarsi in un embrione ungulato possono costituire la chiave di volta verso la generazione di organi come cuore, reni e fegato partendo da zero e, quindi, verso la potenziale realizzazione del trapianto interspecie.
Fra l’altro l’articolo arriva alle stesse conclusioni di un’altra importante ricerca condotta da un gruppo di studio internazionale che ha prospettato la possibilità di trattare con successo il diabete di tipo 1 proprio con il trapianto interspecie8.
Si tratta dunque di un primo ma significativo passo verso questo obiettivo che conferma ancora una volta l’effervescenza della ricerca in questo settore.
D’altra parte che lo xenotrapianto sia una delle risposte più promettenti alla cronica carenza di organi lo confermano i tanti progressi raggiunti in questo campo che stanno definitivamente aprendo la strada verso il suo utilizzo clinico.
È di pochi mesi fa la notizia che un gruppo internazionale di ricercatori è riuscito a generare suinetti sani, in cui il percorso di trasmissione ai discendenti è stato disattivato9.
I ricercatori avrebbero modificato il genoma dei fibroblasti fetali suini, utilizzando il percorso CRISPR-Cas9 per disattivare l’accesso a tutte le sequenze e trasferito i nuclei di queste cellule in oociti enucleati di maiale (un processo chiamato clonazione terapeutica), quindi hanno impiantato gli embrioni risultanti (da 200 a 300 embrioni) a scrofe surrogate.
Sebbene l'efficienza della gravidanza sia risultata leggermente inferiore agli embrioni wild-type derivati da fibroblasti fetali primari, sono stati prodotti 37 maialini da 17 scrofe con il percorso di trasmissione disattivato.
Complessivamente sono sopravvissuti 15 suinetti di cui il più longevo e sano aveva raggiunto l’età di 4 mesi al momento della pubblicazione dello studio. Il metodo, dunque, è in grado di portare il rischio di trasmissione dopo xenotrapianto pari a zero.
Certamente, altri ostacoli si frappongono allo xenotrapianto come procedura medica di routine. Non ultimo la prevenzione del rigetto immunologico, in particolare il rigetto iperacuto che è il segno distintivo dello xenotrapianto.
Ciò nonostante diversi studiosi ritengono che la strada verso organi di suini da trapiantare è sostanzialmente aperta10.

La stampa di organi in 3D, la biostampa
In ultimo non si possono non citare i progressi del bioprinting.
Diversi scienziati di tutto il mondo stanno esplorando l’ipotesi di ricorrere alla stampa 3D o a tecnologie simili per produrre organi e tessuti nel giro di pochi giorni.
Una capacità simile non solo ridurrebbe il divario fra domanda e offerta, ma se gli organi venissero creati sulla base delle cellule del paziente, i rischi di un rigetto verrebbero ridotti drasticamente e si eliminerebbe la necessità della compatibilità donatore-ricevente.
Con l’avanzare della ricerca nel campo della biostampa, la principale sfida non consiste più nella semplice creazione di queste strutture simili agli organi, bensì nel mantenerle in vita. La soluzione su cui si sta lavorando consiste nello stampare non solo lo scaffold, ma anche il sistema vascolare del tessuto in modo da raggiungere gli strati più interni delle cellule per trasportare sangue ossigenato e rimuovere le scorie.
I bioingegneri dell’Università di Harvard hanno già cominciato a stampare sistemi vascolari in laboratorio per testare possibili farmaci con cui trattare la tossicità chimica nei tessuti viventi. Al momento stanno lavorando alla stampa di piccole regioni di organi, in particolare allo sviluppo di nefroni. Ma prima di riuscire a stampare un rene, i ricercatori dovranno scoprire come stampare un singolo nefrone. Nella migliore delle ipotesi si tratterebbe comunque di un milionesimo di rene perché è questa la scala del progresso di questo campo.
Tuttavia, è recentissima la notizia di un nuovo sistema di stampa 3D con bio-inchiostro vivente che potrebbe cambiare gli orizzonti di questa tecnologia.
I ricercatori del Politecnico di Zurigo guidati dal Prof. André Studart, in un articolo di recente pubblicazione su Science Advances, descrivono come hanno sviluppato una piattaforma di stampa 3D in grado di incorporare materia vivente11.
Si tratta di un inchiostro composto da una miscela di diversi ingredienti: una base di idrogel contenente zucchero e acido ialuronico che costituisce la struttura dell'inchiostro; i batteri che sono la componente vivente; ed un terreno di coltura per mantenere in vita i batteri.
Il risultato è inchiostro vivente, viscoso e consistente che, grazie ai batteri di cui è composto (Pseudomonas putida e Acetobacter xylinum), permette di stampare materiali con proprietà biochimiche, capaci per esempio di digerire inquinanti o essere usato come “impalcatura” per i trapianti di pelle o per proteggere i malati dal rigetto.
Si tratta di uno studio che sicuramente aggiungerà entusiasmo al bioprinting, ossia, alla stampa su misura di materiale biologico in 3D.
Con questo sistema, che i ricercatori hanno chiamato “Functional living ink” (Flinck) possono essere stampati materiali 3D di qualsiasi forma in una volta sola; si possono combinare fino a quattro batteri insieme e questo apre la strada a tantissime applicazioni biomediche e non solo.
Per esempio pelle e cartilagini, che possono già essere coltivate in laboratorio, potrebbero essere prodotte secondo le specifiche del paziente.
A seconda del tipo di batterio utilizzato, è possibile modificare l'esito della stampa. Il gruppo ha sperimentato la specie batterica putida Pseudomonas, che è già stata utilizzata nelle industrie chimiche per abbattere una sostanza chimica tossica come il fenolo.
Allo stesso tempo, è stato dimostrato che i batteri Acetobacter xylinum espellono la nano-cellulosa antidolorifica che potrebbe essere usata per trattare le ustioni. Inoltre, poiché si tratta di un materiale naturale, i corpi umani sono meno propensi a rigettarlo.
Per ora, i ricercatori ritengono che i batteri saranno in grado di sopravvivere all'interno delle strutture stampate per un bel po’ di tempo, sebbene siano necessari test più estesi per determinare la durata dei nuovi materiali.
La stampa 3D utilizzando idrogel a base di batteri è praticamente agli inizi. Tuttavia, il metodo additivo offre un enorme potenziale per applicazioni industriali e biomediche.
Soprattutto in riferimento a queste ultime alcuni osservatori ritengono che un giorno saremo in grado di stampare organi come cuore e reni per i trapianti.
Forse in futuro ciò sarà veramente possibile. Ci vorranno probabilmente decenni prima che un organo sintetico stampato possa essere trapiantato in un essere umano.
Ma anche nel 1967, alla notizia del primo paziente trapiantato di cuore al mondo eseguito con coraggio e sfrontatezza dal cardiochirurgo Christian Barnard, si rimase increduli e allo stesso tempo entusiasti nel vedere realizzato ciò che fino ad allora era stato sperimentato soltanto su cani, babbuini e scimpanzé. Un intervento che invece ha segnato la storia della medicina e la vita di migliaia di persone.
Ciò che è stato richiamato in questo editoriale sono solo alcune delle tante intuizioni e innovazioni che la ricerca trapiantologica ha proposto nell’anno passato. Molte di queste rappresentano importanti conquiste cliniche, altre interessanti prospettive, ma tutte sono il risultato di una continua ricerca nell’interesse delle migliaia di pazienti in attesa di un organo per tornare a vivere.  

Fonte: Trapianti.net - http://trapianti.net/

Bibliografia
1. Bozso SJ, Nagendran J. Life after death: breathing life into lung transplantation from donation after circulatory death donors. Am J Transplant 2017; 17: 2507-8.
2. Mills EL, Kelly B, O'Neill LAJ. Mitochondria are the powerhouses of immunity. Nat Immunol 2017; 18: 488-98.
3. Lakkis FG, Friday AJ, Abou-Daya KI, et al. Donor SIRPα polymorphism modulates the innate immune response to allogeneic grafts. Sci Immunol 2017; 2 (12). pii: eaam6202.
4. Mandai M, Kurimoto Y, Takahashi M. Autologous induced stem-cell-derived retinal cells for macular degeneration. N Engl J Med 2017; 377: 792-3.
5. Yamamoto K, Yamato M, Morino T, et al. Middle ear mucosal regeneration by tissue-engineered cell sheet transplantation. NPJ Regen Med 2017; 2: 6.
6. Camp JG, Sekine K, Gerber T, et al. Multilineage communication regulates human liver bud development from pluripotency. Nature 2017; 546: 533-8.
7. Wu J, Platero-Luengo A, Sakurai M, et al. Interspecies Chimerism with Mammalian Pluripotent Stem Cells. Cell 2017; 168: 473-86.
8. Yamaguchi T, Sato H, Kato-Itoh M, et al. Interspecies organogenesis generates autologous functional islets. Nature 2017; 542: 191-6.
9. Niu D, Wei HJ, Lin L, et al. Inactivation of porcine endogenous retrovirus in pigs using CRISPR-Cas9. Science 2017; 357: 1303-7.
10. Denner J. Paving the path toward porcine organs for transplantation. N Engl J Med 2017; 377: 1891-3.
11. Schaffner M, Rühs PA, Coulter F, Kilcher S, Studart AR. 3D printing of bacteria into functional complex materials. Sci Adv 2017; 3: eaao6804.