Il Servizio di etica clinica: cura di fine vita e trapianti d’organo

Alessandra Gasparetto, Mario Picozzi

Centro di Ricerca in Etica Clinica, Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita, Università degli Studi dell’Insubria, Varese

Pervenuto il 30 marzo 2020.

Riassunto. L’etica clinica trova il suo luogo d’elezione nel contesto clinico-assistenziale e la propria ragion d’essere nelle specifiche richieste di supporto alla risoluzione di questioni moralmente controverse. Alcuni cenni alla situazione sanitaria italiana in materia di etica clinica sono occasione per rivolgere un’esortazione ad istituire Servizi di etica clinica che assicurino in forma dedicata e continuativa lo svolgimento di attività quali: formazione dei professionisti, redazione di orientamenti per la pratica clinica e consulenza etica su casi e questioni di carattere generale. Affinché i bisogni di supporto etico dei professionisti non restino insoddisfatti, sono indispensabili competenza, tempo e risorse. La cura di fine vita e i trapianti d’organo rappresentano ambiti di applicazione dell’etica al letto del malato attraverso il Servizio di etica clinica.

Parole chiave: etica clinica, consulenza etica, Italia, cura di fine vita, trapianti d’organo.

The clinical ethics service: end-of-life care and organ transplantation

Summary. Clinical ethics finds its core place in the healthcare context and its reason for being in the specific requests for assistance in solving morally controversial issues. After a quick overview of the Italian situation as regards clinical ethics, we strongly encourage the establishment of clinical ethics services which ensure education of professionals, drafting of guidelines, case and non-case ethics consultation on a regular basis. Competence, time and resources are essential requirements in order to satisfy the clinicians’ need for ethics support. End-of-life care and organ transplantation are typical areas for the application of bedside ethics by a clinical ethics service.

Key words: clinical ethics, ethics consultation, Italy, end-of-life care, organ transplantation.

Etica clinica e consulenza

L’etica clinica è una branca della bioetica che si occupa di individuare, analizzare e risolvere i quesiti e i disaccordi morali che originano dalla cura delle persone malate con l’obiettivo di migliorare la qualità dell’assistenza loro fornita1. Tale finalità viene realizzata mediante lo svolgimento di attività di formazione del personale sanitario, redazione di orientamenti inerenti a temi eticamente sensibili, consulenza etica (CE) finalizzata alla risoluzione di dilemmi o conflitti relativi a storie di cura. L’etica clinica trova il suo luogo d’elezione nel contesto clinico-assistenziale e la propria ragion d’essere nelle specifiche richieste di supporto alla risoluzione di questioni moralmente controverse. Essa ha, quindi, una finalità spiccatamente pratica, essendo orientata al superamento di impasse decisionali e all’agevolazione di scelte ed azioni di cura eticamente giustificate. Alcuni indicatori consentono di cogliere il proprium dell’etica clinica: il luogo (letto del malato); i destinatari (professionisti e persone assistite); i fini (miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria). Verso la fine degli anni Settanta in Nord America, il progressivo coinvolgimento nella scena clinica di coloro che insegnavano scienze umane (humanities) nelle scuole di medicina ha contrassegnato la nascita della cosiddetta “etica al letto del malato” (bedside ethics)2. La graduale istituzione nelle strutture sanitarie di Comitati e Servizi di etica clinica ha evidenziato la volontà di riconoscere che l’etica al letto del malato è parte integrante dell’assistenza sanitaria. L’American Society for Bioethics and Humanities (ASBH) definisce la CE “un servizio svolto da un individuo o un gruppo per rispondere alle domande di pazienti, familiari, tutori, operatori sanitari o altre persone coinvolte nell’assistenza circa incertezze o conflitti morali che emergono nella pratica clinica”3. La CE può essere fornita da un singolo, un piccolo gruppo di consulenti o un Comitato di etica clinica; poiché ciascun modello ha pregi e difetti, la scelta di adottare l’uno o l’altro dipende da fattori variabili, come le risorse a disposizione dell’istituzione sanitaria o la complessità e l’urgenza delle richieste di supporto generalmente avanzate3. Inoltre, la CE può essere richiesta da chiunque sia coinvolto nella relazione di cura quando sorgano dubbi o disaccordi di natura morale o laddove si vogliano approfondire i risvolti etici di questioni più generali. L’intervento di uno o più consulenti prevede l’analisi della questione mediante il confronto con le parti interessate, il chiarimento dei concetti di rilievo bio-etico, l’approfondimento delle implicazioni etico-normative, la mediazione dei conflitti – ove presenti – e l’identificazione di una o più opzioni di risoluzione3. Il parere del consulente (o dei consulenti) è di natura etica e non ha valore vincolante per coloro che ne fanno richiesta. Negli Stati Uniti la CE è disponibile in tutte le strutture ospedaliere con più di quattrocento letti, mentre in Europa e nel resto del mondo è in progressiva diffusione4,5. In Italia è ancor oggi in fase di definizione e sviluppo6,7.


La situazione italiana*


L’attuale assetto organizzativo della sanità italiana non contempla una compiuta istituzionalizzazione dell’etica clinica. I Comitati presenti sul territorio nazionale si occupano essenzialmente di etica della sperimentazione sull’uomo e sono composti da esperti in tale settore. Ad eccezione di alcune Regioni che, attraverso Delibere, hanno costituito i Comitati di etica clinica, questi ultimi non hanno una diffusione capillare e lo stesso può dirsi dei Servizi di etica clinica
6,7. Il 31 marzo 2017, il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) si è espresso sulla questione con il parere “I Comitati per l’etica nella clinica” nel quale auspica che il legislatore presti attenzione all’etica clinica e al profilo dei Comitati deputati al suo svolgimento, considerata la normativa statale – imperniata quasi esclusivamente sulla sperimentazione clinica – e le previsioni del Regolamento (UE) n. 536/2014. L’aspetto critico del parere del CNB riguarda la scelta di indicare il Comitato di etica clinica nella sua interezza come miglior modello per realizzare la consulenza. Non è possibile in questa sede disaminare la “questione del modello” per la CE, ossia entrare nel merito dei punti di forza e debolezza di Comitati, piccoli gruppi o singoli consulenti. Tuttavia, ci si può limitare ad evidenziare come consolidate esperienze internazionali abbiano indiscutibilmente dimostrato i limiti strutturali dei Comitati circa la capacità di garantire la presenza continuativa al letto del malato e la soddisfazione dei bisogni etici dei professionisti7. Per tali ragioni, non è infrequente osservare forme di cooperazione tra modelli finalizzate al massimo sfruttamento delle potenzialità di ciascuno. In diverse circostanze, ad esempio, la funzione consultiva è attribuita ad autonomi Servizi di consulenza (composti da uno o più professionisti specificamente dedicati) mentre ai Comitati sono assegnati compiti di periodica verifica di quanto svolto dai primi o di redazione di orientamenti etici per la pratica clinica.

La legge 219/2017, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, all’art. 1 co. 9 richiama la necessità dell’informazione ai pazienti e della formazione del personale in relazione ai principi in essa contenuti e al co. 10 include “la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative” nella formazione iniziale e continua dei professionisti sanitari. Difficilmente un Comitato di etica, che di norma si riunisce una volta al mese ed è composto da esperti afferenti a diverse aree professionali (sanitari, giuristi, psicologi, assistenti sociali) potrà attivare eventi formativi con continuità.

Allo stesso modo, per quanto concerne l’agevolazione dei processi decisionali gravati da incertezza o conflittualità – si veda al riguardo la recente Mozione del CNB8 – non è plausibile attendersi da un Comitato quella flessibilità e quella disponibilità indispensabili per recepire e appagare le esigenze di supporto etico, a meno che queste non si limitino a fenomeni sporadici ed eccezionali. Perché tali esigenze non rimangano insoddisfatte, sono indispensabili tre requisiti: la competenza, il tempo e le risorse. È acclarato che per occuparsi di etica clinica occorre possedere sia una specifica competenza teorica sia una corrispondente formazione pratica. L’offerta formativa, in tal senso, è crescente e riguardo al curriculum si ispira al modello americano; tuttavia, è quanto mai urgente per il nostro Paese definire in modo univoco il profilo professionale del consulente di etica clinica (anche noto come "bioeticista clinico"). Perché la formazione, la redazione di orientamenti e la consulenza non abbiano carattere meramente occasionale è essenziale disporre di tempo e di strutture specificamente destinate a tali scopi: solo la presenza continuativa può consentire all’etica clinica di approssimarsi alla vita dei reparti ospedalieri e delle persone assistite. Infine, sono imprescindibili le risorse economiche affinché il lavoro svolto ottenga idoneo riconoscimento e non sia alimentata l’ingiustificata assimilazione dell’etica clinica ad un’opera di beneficenza.


Il Servizio di etica clinica


L’istituzione di un Servizio di etica clinica, quale struttura stabilmente dedicata, assicura le seguenti attività (tabella I)1,3:

a) formazione dei professionisti sanitari su argomenti di rilievo etico-clinico, come ad esempio: informazione e consenso ai trattamenti sanitari, riservatezza e segreto professionale, cura alla fine della vita; le iniziative di carattere formativo perseguono lo scopo di educare i sanitari al riconoscimento della dimensione morale dell’agire professionale e migliorare la loro capacità di identificare e gestire le questioni etiche;




b) sviluppo e redazione di orientamenti su temi di interesse per l’istituzione sanitaria: si consideri un documento inerente ai profili etici della cura di fine vita o contenente l’esposizione e l’analisi dei principali argomenti della Legge 219/2017; tali documenti hanno lo scopo di orientare in modo eticamente giustificato l’agire dei professionisti e di fornire loro una cornice etico-normativa entro la quale inquadrare consapevolmente specifiche questioni;

c) CE su casi specifici (case consultation) e questioni di carattere generale (non-case consultation)3: la consulenza è offerta in risposta a casi – anche urgenti – e nel quotidiano, offrendo chiarimenti attorno ai profili etici di specifici argomenti (ad esempio, ruolo dei familiari nelle decisioni di cura) oppure fornendo informazioni preparatorie alla compilazione di una disposizione anticipata di trattamento (DAT).

Una proficua contaminazione tra attività formativa ed attività consultiva può avvenire nello svolgimento delle cosiddette ethics rounds di ascendenza americana. Queste ultime vedono sanitari e consulenti di etica clinica discutere, a scopo formativo, di storie di cura eticamente complesse; accade, quando le storie sono attuali, che il confine tra analisi dei problemi etici e attivo supporto alla loro risoluzione, sfumi. In altri casi, il consulente clinico può essere invitato dal personale sanitario a partecipare alle riunioni di reparto oppure a presenziare in occasione dei programmati passaggi di consegne. Tali iniziative consentono di adottare un approccio “proattivo” alle questioni etiche, affrontandole e gestendole prima che assumano i contorni di veri e propri conflitti, nonché di intercettare bisogni etici inespressi9. La CE è a tutti gli effetti cuore pulsante di un Servizio di etica clinica e linfa vitale delle ulteriori attività che esso assicura. Infatti, lo svolgimento della CE consente non solo di diffondere una cultura etica, ma anche di individuare tempestivamente le questioni che, generando maggiore impasse, richiedono di pianificare interventi formativi e di orientamento. Quando non limitata alla risoluzione di casi dilemmatici o conflittuali, ma organizzata come supporto continuativo alla pratica clinica (esemplari sono le ethics rounds) la CE non è solo uno strumento a cui ricorrere al bisogno in situazioni di emergenza, ma diviene una parte integrante del percorso assistenziale.

Ambiti di applicazione:
fine vita e trapianti d’organo


Per riferimento allo specifico ambito della donazione e del trapianto di organi è possibile esemplificativamente, senza pretesa di esaustività, prospettare questi potenziali scenari in cui declinare le tre attività del servizio di etica clinica sopra indicate10,11.

Il primo scenario si riferisce alla situazione clinica in cui durante la fase delle indagini cliniche per l’idoneità al trapianto da vivente da padre a figlia, ci si accorge che il padre donatore non può essere il padre genetico della figlia ricevente. Il consulente di etica clinica potrebbe essere chiamato dall’equipe curante per analizzare il caso al fine di giungere ad una decisione. La possibilità per il consulente di poter parlare con i soggetti coinvolti gli consente di avere un quadro completo della situazione. La domanda decisiva a cui rispondere è la seguente: questa informazione in questo specifico contesto aiuta o diminuisce la capacità decisionale e l’autonomia del donatore e del ricevente? L’analisi della letteratura può facilitare la formazione di un orientamento, compresa la valutazione dei risvolti giuridici insiti nella decisione.

Il caso evoca una serie di questioni eticamente rilevanti che auspicabilmente devono diventare oggetto di una specifica ripresa da parte della Unità operativa coinvolta. Non si tratta, va sottolineato, di fornire una generica formazione in ambito bioetico, ma di riprendere il caso clinico per chiarire i termini in gioco, illustrare i principi etici sottesi, consentire una riflessione e un confronto a freddo su quanto avvenuto. Occorre riflettere sul significato di rispetto dell’autonomia decisionale, su cosa comporti comunicare la verità, sui limiti del segreto professionale a partire dal caso, per comprendere come esso dia forma e renda univoci i principi sopra evocati. Questo esercizio di ripresa a livello di equipe è molto importante, perché consente non solo di maturare nei singoli operatori sanitari una più solida consapevolezza delle questioni etiche inerenti alla pratica quotidiana, ma altresì abilita l’intera equipe a pensare e a discutere tematiche eticamente rilevanti.

Resta da verificare se sia necessario su questo specifico argomento scrivere un documento di consenso, così che possa essere un punto di riferimento ove si ripresentasse un caso analogo. Essendo una situazione estremamente rara, probabilmente la modalità con cui il caso è stato risolto potrebbe rappresentare un sufficiente riferimento, senza che si debba giungere ad un documento più preciso e dettagliato.

Un secondo scenario riguarda la sospensione dei trattamenti ritenuti non più proporzionati e l’avvio della procedura per la donazione a cuore fermo12,13. La valutazione della non proporzionalità di un trattamento e la sua conseguente sospensione comportano sempre un confronto tra il paziente, i suoi familiari e l’equipe curante, trattandosi, nel caso di trattamenti vitali, di un gesto irreversibile. Anche in questo caso, la CE può rappresentare un’importante risorsa, soprattutto ove vi sia un dubbio o un conflitto: si pensi ad esempio alla situazione in cui sia necessario interpretare una DAT, così da rendere omaggio ai desideri di chi l’ha sottoscritta14. Va chiarito che la sospensione è giustificata dalla non proporzionalità del trattamento e non dalla necessità di avere organi per la donazione.

Una ripresa in equipe del caso consentirà di chiarire i criteri per giudicare non proporzionato un intervento, la legittimità della sospensione anche ove dovesse abbreviare la vita del paziente, l’equivalenza tra non iniziare e sospendere un trattamento. In più si potrebbe chiarire il significato di una DAT, il ruolo del fiduciario nella decisione, le modalità di azione nel caso di un conflitto tra equipe e fiduciario.

Il tema del non iniziare o sospendere un trattamento di per se stesso non è legato alla donazione di organi, ma dovrebbe riguardare l’intera istituzione sanitaria e le sue Unità operative. In questa ottica la redazione di orientamenti per la cura delle persone nelle fasi finali della vita potrebbe rappresentare un utile strumento non solo per la donazione a cuore fermo, ma per l’intero ospedale14. Il consulente etico, raccogliendo le istanze delle diverse unità operative, potrebbe redigere un documento condiviso frutto del lavoro comune dei diversi operatori sanitari. La redazione di un documento con questa modalità richiede tempo, pazienza, capacità di ascolto e dialogo, ma permette a ciascun partecipante di riconoscersi in esso. Capita talvolta invece che questi documenti vengano scritti da un numero ristretto di persone, con operazioni di taglio/incolla di altri documenti già redatti: così il documento ha scarse possibilità di essere accolto e soprattutto avrà poche possibilità di incidere realmente sulla pratica clinica.

Un terzo scenario attiene alla donazione di organi da donatore con profilo di rischio non standard. Il consulente potrebbe essere chiamato per quel paziente che nutre dei dubbi sulla proposta di un organo che rientra in quella fattispecie. Si pone qui la questione della capacità decisionale di un paziente, a fronte della comprensione corretta delle informazioni ricevute, da coniugare nella sua storia personale. Il fattore tempo in questa situazione gioca un ruolo fondamentale.

Una ripresa del caso con l’equipe da parte del consulente dovrà chiarire cosa si intende per consenso informato, il ruolo che il tempo assume nella scelta, cosa comporti giungere ad una decisione condivisa. La riduzione del consenso a formalità procedurale non aiuta a inquadrare il processo che deve iniziare al momento dell’entrata in lista per terminare il giorno in cui vi è l’effettiva disponibilità dell’organo.

Il tema del consenso da organi provenienti da donatori a rischio non standard riguarda l’intero sistema trapianti e non unicamente il singolo centro. Per questo il consulente dovrebbe concorrere a definire un progetto in cui attraverso incontri e specifici seminari con i diversi soggetti coinvolti giungere alla stesura di un documento di consenso che renda ragione dal punto di vista etico di una proposta che abbraccia l’intero percorso: dal momento in cui il paziente , inscritto in lista di attesa per un trapianto, riceve le informazioni riguardanti anche la possibilità di ricevere un organo da un donatore a rischio non standard, definendo il valore del suo assenso o rifiuto a questa proposta, alla fase in cui è in lista di attesa con la possibilità di discutere ulteriormente la sua scelta fino a giungere a una decisione definitiva, che dovrà essere confermata al momento dell’effettiva disponibilità dell’organo. Concepire il consenso, come già affermato in precedenza, come un percorso relazionale al termine del quale il paziente decide, permette di capire il ruolo del medico e dell’equipe nella decisione del paziente, nel rispetto dei relativi compiti e responsabilità non solo nei confronti del singolo paziente ma dell’intero sistema dei trapianti.

Vanno menzionati infine ai due a scenari che stanno ora ponendo rilevanti questioni etiche e in cui il ruolo del consulente diventa necessario, al fine di istruire correttamente l’argomento11.

La prima riguarda i criteri per inscrivere in lista di attesa per un trapianto soggetti con neoplasia epatica. L’allargamento dei criteri per cui l’obiettivo del trapianto non risulta più essere l’assenza di malattia, pone la questione del possibile ritrapianto ove vi fosse una ripresa di malattia. Ci si chiede se e fino a che punto ciò sia giusto ed equo.

Il secondo argomento riguarda l’inserimento in lista di soggetti fragili, quali immigrati o persone che fanno abuso di sostanze. In questo caso il tema riguarda la compliance di questi soggetti dopo il trapianto. Anche in questo caso il principio di tutela della vita e della salute chiede di essere attentamente valutato insieme al principio di giustizia.

Il Servizio di etica clinica rappresenta uno strumento sempre più necessario nella gestione del processo della donazione di organi e nel trapianto. Poiché ad oggi, in Italia, non vi sono Servizi in ambito trapiantologico istituzionalmente riconosciuti, si ritiene che l’avvio di progetti pilota su scala regionale possa essere un valido strumento per far comprendere il ruolo di questo servizio e al contempo permettere di calibrare le sue funzioni rispetto alla specifica realtà italiana.




Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Contributo degli autori: Alessandra Gasparetto ha redatto i primi tre paragrafi; Mario Picozzi ha redatto il quarto paragrafo. Entrambi gli autori hanno letto e approvato il manoscritto.

L’articolo riprende e approfondisce: Picozzi M, Roggi S, Gasparetto A. Role of clinical ethics support services in end-of-life care and organ transplantation. Transplant Proc 2019; 51: 2899-2901.

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