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STAMPA IN 3D DI ORGANI:
UN “INCHIOSTRO VIVO” INDICA LA VIA?
Viscosità, inchiostro, batteri. Qual è il collegamento? Alcuni scienziati in Svizzera hanno realizzato una stampante in 3D in grado di utilizzare “inchiostro vivo”. Ossia una miscela composta da diversi ingredienti: un hydrogel a base di zucchero, che forma la struttura stessa dell’inchiostro; dei batteri, la componente viva; e un terreno di coltura per mantenere gli stessi batteri vivi. Lo hanno chiamato “flink”, da “functional living link”. E la viscosità, intesa come misura della resistenza di un fluido a fluire, è stata centrale nello sviluppare questa nuova piattaforma di stampa, creata dal team del professor Studart del Laboratorio di materiali complessi presso lo Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo cui è seguita una pubblicazione su Science Advances1. Il flink parrebbe prestarsi a diversi specifici usi tra cui, ad esempio, il trattamento di ustioni grazie alla presenza dell’Acetobacter xylinum che secerne una forma pura di nano cellulosa, materia stabile capace di trattenere l’umidità e quindi mantenere l’idratazione. Il flink sembra avere proprio la formula vincente: viscoso come una pasta dentifricia e con la consistenza della crema per mani Nivea.
C’è chi vede nella biostampa, ossia la stampa in 3D di materiale biologico – resa possibile anche da questo recente sviluppo svizzero, la via che porterà un giorno a stampare organi come cuore e reni da utilizzare nei trapianti, ricorrendo a epidermide e cartilagine che già possono essere sviluppate in laboratorio. Un’azienda statunitense, Organovo, sta lavorando a questo obiettivo, come d’altronde già L’Oréal utilizza per i suoi test clinici e cosmetici una tecnologia che permette di creare facsimili di tessuto umano. Ma a rendere – tra le altre cose – difficile il raggiungimento di questo obiettivo ci sono anche – ma non solo – questioni economiche, dato il costo elevatissimo di stampanti del genere. Senza contare poi la questione e le riserve di natura etica che solleverebbe: stampare organi e tessuti significherebbe, per molti, ridurre la persona, l’essere umano, a una somma di componenti e quindi avvicinarlo più a una macchina (da assemblare appunto) che ad un umano. Ma d’altronde, questo assunto era in un certo senso già alla base del primo trapianto riuscito di cuore, 50 anni fa. E non si può certo dire che non sia stato un bene per l’essere umano l’avanzamento e il progresso in ambito di trapiantologia. Si pensi che nella sola Gran Bretagna ci sono circa 6500 persone in lista di attesa per un trapianto, e di queste quasi 500 muoiono ogni anno aspettando un organo.
Senza considerare che la biostampa – in caso diventasse realtà – avrebbe il vantaggio di offrire la prospettiva di sostituire organi immunologicamente compatibili, azzerando di fatto il commercio illecito di organi umani. C’è qualcosa di più etico di questo?  
Bibliografia
1. Studart AR, et al. 3D printing of bacteria into functional complex materials. Science Advances 2017.
Anjana Ahujia, Financial Times, dicembre 2017. Si leggano anche: Tim Lewis, “Could 3D printing solve the organ transplant shortage?”, The Guardian, luglio 2017 e “Printed human body parts could sool be available for transplant”, The Economist, ottobre 2017.